23 ANNI DI
PSICOANALISI A TORINO
Cari amici, non vorrei che ci sfuggisse
la comicità dalla situazione del “discorso del
presidente”.
Ventitré anni a sformare la
formazione, a tentare di ridurre il modello in
briciole, a lottare perché forma e contenuto
hanno senso solo se insieme in un dire non
pre-costituito, e poi ecco che ti sforna il
discorso del presidente! Discorso con quel po’
di sgrammaticato da risuonare anche criticabile,
dove l’aggiunta del “non rivisto dall’autore”
ripara l’intellettuale saputo.
Qui la cosa è espressa così perché questo
tempo ci pareva giusto segnarlo con un atto che
andrà ad aggiungersi ai nostri altri: tra
formale ed informale c’è l’infinito, e la storia
dell’arte lo indica.
Il primo Annuario del Laboratorio di
Formazione e di Lettura Psicoanalitica è stato
pubblicato nel 1990 e raccoglieva dieci anni di
attività del Laboratorio. Nelle prime quindici
pagine, tra introduzione e storia del
Laboratorio, vi sono quei dati che permettono di
ricostruire un quadro generale dell’ambiente
torinese psicoqualchecosa fine anni ’70,
da dove il Laboratorio ha preso le mosse.
Prima, penso sia importante ricordare come in
quegl’anni la psicoanalisi si caratterizzava,
sicuramente in modo abbastanza improprio,
attorno ad alcuni capi scuola che oggi sono di
gran lunga più importanti in psicoterapia.
Tranne Freud, Jung, Adler, Klein e Reich
venivano accorpati attorno ad un’idea un po’
ingenua di psicoanalisi, dove Lacan
rappresentava l’aspetto altro. Erano già note al
pubblico attento alcune distinzioni, ma non in
modo evidente come lo sono oggi. Ferenczi e Rank
erano poco nominati.
Era il tempo in Italia, dopo il ’68, in cui
le grosse istituzioni psico (SPI, AIPA e
CIPA) stavano perdendo il loro ruolo egemone.
Nascevano come funghi piccole associazioni per
lo più di scuola lacaniana.
Il grande lavoro dell’editore Paolo
Boringhieri, con Musatti, produceva i suoi
frutti, la lingua italiana aveva una compiuta
traduzione dei testi freudiani, ed anche
kleniani e junghiani. Einaudi editava Lacan che
era molto seguito in Italia. Parecchi editori
pubblicavano psicoanalisi: Astrolabio, Adelphi,
Borla, Guaraldi, Il Saggiatore, Feltrinelli,
Laterza, Armando, Garzanti, ed altri piccoli
editori.
La Torino della psicoanalisi -dei nostri
anni migliori, se così si posso dire- sul
finire degli anni settanta è caratterizzata già
dalla presenza di alcune piccole associazioni
psico, ma non si può certo parlare
di presenza massiccia. Presenti in università
c’erano i micropsicoanalisti dalla Svizzera con
Nicola Peluffo, e Mario Francioni insegnava
anche un po’ di storia della psicoanalisi. In
città non c’erano didatti SPI, né junghiani,
quattro erano al 1980 gli psicoanalisti ordinari
SPI. Rarissimi gli psicoanalisti sciolti da
associazioni.
Cito dal primo Annuario: “Il quadro
del fermento psicoanalitico è caratterizzato da
una serie di tentativi costituiti dalle spinte
di forze disomogenee che hanno origine da
diversi movimenti socio-culturali, comunque da
ambiti che non hanno direttamente a che fare con
la psicoanalisi, come il movimento
antipsichiatrico, la questione politica dei
rapporti tra marxismo e psicoanalisi, l’esigenza
pressante della progettazione di consultori
psicoterapeutici, le prime lauree dei corsi di
psicologia di Padova e di Roma,” e molte altre
spinte, tutte provenienti dal sociale, e non
interne alla psicoanalisi, come la domanda di
psicologia in fabbrica, nel marketing, nella
scuola, ed in grande misura di psicologia
clinica che proveniva dai più svariati ambiti.
Il boom della psicologia di massa era
nell’aria, le risposte competenti, che potevano
essere fornite, erano di pochi. Le domande di
psicoqualchecosa per la maggior parte non
potevano essere soddisfatte in città. Milano,
per esempio, presentava delle caratteristiche
già molto diverse da Torino.
Il Laboratorio prende le mosse come gruppo
di lavoro e di ricerca in ambienti vicini
all’università di magistero, ed è caratterizzato
dall’insieme di tre indirizzi: junghiano,
kleiniano e freudiano, quest’ultimo era la mia
formazione - avevo concluso un’analisi personale
da poco, iniziata nel ’72, con un allievo di
Musatti.
Nei primi cinque anni il Laboratorio si è
dato lo statuto ed il regolamento. Gli interessi
del direttivo andavano via via orientandosi
verso la psicoanalisi di lingua francese. E
l’interesse per la storia della psicoanalisi, e
di conseguenza avvicinamento all’AIHP, è stato
il primo passo internazionale che ci ha
avvicinato sempre più all’asse di formazione
Freud -Lacan.
Moltissimi sono stati gli incontri
significativi che hanno caratterizzato la storia
dell’LFLP, alcuni lo sono stati in misura
determinante:
Alain de Mijolla, presidente
dell’Associazione Internazionale di Storia della
Psicoanalisi, i cui scambi di collaborazione
continuano da 15 anni con diversi importanti
lavori; Elisabeth Geblesco, psicanalista della
Causa freudiana di Parigi, prematuramente
scomparsa, che ha portato al Laboratorio dei
significativi lavori su Lacan; così come Genie
Lemoine, del direttivo lacaniano parigino, la
quale ha condotto per diversi anni lavori e
cartelli con noi. Ma anche alcuni italiani hanno
profondamente caratterizzato le scelte del
Laboratorio: uno su tutti, Giacomo Contri ed
alcuni suoi collaboratori dello Studium
Cartello.
Tante sono state le figure a cui abbiamo
guardato con stima e rispetto e che hanno
contribuito a formarci ed a crescere in una
disciplina in cui si cresce anche insieme, là
dove c’è dello scambio e non solo magistero. I
nomi in 23 anni di attività sono tanti, e questi
nomi gli Annuari li contengono tutti. Qui
desidero ringraziare ciascuno.
Intendo brevemente approfondire
ed evidenziare un aspetto caratterizzante
e fondante di questi 23 anni di
percorso.
La legge sull’ordinamento degli psicologi e
sulle psicoterapie del 1989 ha prodotto sul
Laboratorio alcuni effetti assolutamente non
trascurabili.
Più di una ventina sono stati i frequentatori
soci del Laboratorio che a quel tempo hanno
richiesto documenti di frequenza da esibire alla
commissione transitoria per la costituzione
degli albi professionali.
Il Direttivo del Laboratorio ha sentito sempre
di più l’esigenza di prendere una posizione
rispetto alla legge 56/89. Posizione di maggior
distanza dalla legge, che ha condotto il
Laboratorio a deliberare una netta svolta nel
1994.
Per un verso la psicologia, come disciplina
teorica, era entrata in città, addirittura
attraverso una facoltà universitaria, e quei
problemi di domanda di psicologia non
soddisfatta non esistevano più. Per un altro
verso alla psicoanalisi di problemi se ne erano
creati altri: ora era importante segnare e
segnalare un punto fermo sul pensiero di Freud,
sulla laicità della psicoanalisi, e sulla norma
soggettiva, cioè su quella divisione tra legge
statuale e legge del soggetto, e più in
particolare sulla funzione che una legge dello
stato andava ad esercitare su ciò che abbiamo
chiamato libertà di psicologia.
Libertà di psicologia vuol dire libertà
dell’individuo in tutti i suoi possibili
significati ed i suoi sviluppi pratici.
Psicologia non è una astratta disciplina
teorica, ma fa riferimento al singolo soggetto,
al suo universo, al pensiero di quello, e non a
norme sovra individuali, politiche,
scientifiche, religiose, o altro. Tale parola
designa la persona nei suoi moti, pensieri,
rapporti, fini, beni, interessi, e affetti.
La psicologia, che è pensare
psicologia, cosa penso, è il bene
inalienabile del soggetto che dipende dalla
libertà individuale assicurata dalle
costituzioni democratiche. L’esercizio illegale
di tale libertà di psicologia è regolato dalle
norme di diritto statuale.
La psicologia, come disciplina astratta,
creava all’avere psicologia del singolo
dei problemi tutt’ora non risolti. Il terzo Annuario
documenta del lavoro svolto in questa direzione
di virata, di una posizione diversa che il
Laboratorio ha voluto e dovuto assumere rispetto
ai suoi primi anni di attività.
Gli ultimi dieci anni non sono stati facili,
caratterizzati dall’esperienza di Spaziozero
che, pur fallendo, ha gettato delle premesse per
nuovi orizzonti. Anni di scontro e di posizioni
anche non espresse, che hanno segnato ed
insegnato molte cose. Ma sono stati soprattutto
anni in cui abbiamo capito che non è più
possibile scontrarci né con le psicoterapie, né
con il farmaco, né con il discorso
universitario, ma occorre che lavoriamo per
affermare altro da tutto ciò: cioè la
psicoanalisi.
Solamente con la psicoanalisi possiamo capire
e cogliere il disagio nella civiltà, ed aiutare
il soggetto: psicoterapeuta, medico, psichiatra,
psicologo in questo lavoro di civiltà.
E chi aiuta lo psicoanalista?
Molto modestamente, ma fermamente rispondo
anche il Laboratorio nella rete di scambi, e di
ricerca, con lo studio e l’esplicazione di ciò
che fa.
Oggi sappiamo quale terribile illusione sia
affermare ed alimentare lo scontro tra teorie ed
ideologie che prenderanno solo il posto delle
religioni. Sappiamo che il “non sapere”, bel
lungi dall’ignoranza, è uno spazio di
sospensione, frutto di un tenace e proficuo
incontro di ciascuno con se stesso, di un
frequentarsi, e che solamente di lì, possiamo
partire e costruire con ciascuno un percorso di
possibilità di parola e di ascolto.
La scommessa -e concludo- è sul quarto
Annuario, è sul futuro che guardiamo a
ciascun nostro amico, con più certezza di quella
che poteva avere Freud al suo arrivo a Londra.
Si tratta di dare voce alle manifestazioni
sintomatiche, e di riversare liberamente tutte
le parole in un ordinamento linguistico comune,
staccando le parole dalla loro servitù ad un
linguaggio specialistico.
La psicopatologia si può dissolvere sui due
binari: con il lavoro psicoanalitico e con
l’ordinamento del linguaggio. E’ questa la
coppia che ci permetterà di avere competenza
nella e della psicopatologia. La psicopatologia
è il non detto, è il vergognoso, è l’insensato,
di ogni discorso
umano: del padrone, universitario, isterico, del
servo. Quando il discorso dello psicoanalista
definisce il conflitto paranoico con la
forclusione, o il conflitto nevrotico con la
rimozione, o quello perverso con il
misconoscimento, non è più discorso dello
psicoanalista, ma usa il linguaggio come una
schermatura, una chiusura del discorso, un
ghetto dal quale occorre uscire. Il cancro ha
avvio dalla mancanza di parola serena che sa
frequentarsi.
Il contenimento e l’accoglimento della
psicopatologia non può avvenire né nel manicomio
fisico né in quello teorico della
specializzazione. Si tratta di far ritornare la
psicopatologia alla competenza di ciascuno
attraverso il discorso individuale che gli è
proprio.
Si tratta di operare, cioè di lavorare per
organizzare e costruire un ordine del linguaggio
dove ciascuno metta del proprio, a partire dai
personali idiomi. Lavoriamo per la fine della
trattazione del sapere per pochi, con
l’obiettivo di risolverlo in un lemmario, cioè
nel linguaggio, cioè nella competenza
individuale di ciascuno. Gli amici dello
Studium Carlello
http://www.studiumcartello.it/ ci
indicano la strada.
In psicoanalisi un malato guarisce, ed in
certi casi diventa psicoanalista, quando compie
nel suo pensiero e nel suo linguaggio questo
passaggio: da teoria astratta di principio alla
pratica linguistica della parola e dell’ascolto.
A ciascuno di noi va il mio augurio di
trovare e ritrovare ogni volta le parole
attraverso i buoni pensieri.
Torino, 22 maggio ’04
G.G. |